Madre e figlia
Un amore colpevole, come si diceva ancora in quegli anni, la nascita di una bambina, e da quel momento la fuga di madre e figlia di città in città, in case d’affitto sempre più povere. Una trama di piccoli eventi interrotta dalle infrequenti visite del padre, serio, impaziente; e il passare degli anni in un’ombra minacciosa, sotto la cappa di una punizione incomprensibile. L’amore tra le due donne, esasperato dalla solitudine e dalla paura, cresce fino a invadere la vita della figlia, mutando il rifugio in prigionia. Lo scioglimento finale è soltanto il trasformarsi dell’incubo in un vuoto che durerà lungamente.
Raccontata così la trama somiglia a quella di un «romanzo femminile», definizione da respingere subito se non servisse a suggerire con quale coraggio Francesca Sanvitale affronta allo scoperto una materia difficile: per trarne, senza premeditazione, un romanzo sulla condizione di donna tra i pochi veramente significativi; ma per toccare poi un bersaglio più alto, quello di un’opera che non ha bisogno di qualifiche e vale soltanto per la qualità rara e per la forza quasi insopportabile di coinvolgimento. Fin dalla dichiarazione d’amore della madre, che si incontra nelle prime pagine, assolutezza e tensione si impongono al lettore. Inserzioni quasi crudeli di Kitsch (come quella Shirley Temple che si affaccia da grigi cinematografici pomeridiani), e fughe disperate nell’onirico-fiabesco, dànno risalto a una cornice di realtà sofferta come grottesca, dipinta, innaturale. I personaggi si impongono per il peso quasi fisico della loro presenza, che pochi tratti connotano: come il vezzo del padre di battere la sigaretta sull’astuccio d’argento, che nelle pagine del romanzo diventa il segno, preciso fino all’ossessione, di una psicologia e di un’epoca.
C’è anche un romanzo di costume, infatti, nel romanzo più vasto di Francesca Sanvitale, e anche questo non calcolato e non letterario, pur se scritto con mano letterariamente sicura. E forse proprio in questa capacità di dedizione e di adesione totale, che tuttavia sa non abbandonarsi mai, sta il carattere del tutto insolito, probabilmente eccezionale di questo libro.